venerdì 23 maggio 2008

Un clandestino in stazione



In un freddo pomeriggio d’inverno, andai in stazione, ad attendere l’arrivo di un amico di Perugia. Nell’attesa vidi un ragazzo, molto giovane, la cui età si aggirava intorno ai sedici anni. Quando i nostri sguardi si incrociarono, mi sembro quasi di cogliere una profonda malinconia nei suoi occhi. Continuava a fissarmi insistentemente, quasi fosse alla ricerca del coraggio necessario a rivolgermi la parola. Il freddo pungente rendeva l’attesa frustrante e poiché ero arrivato con mezz’ora di anticipo, mi affiorò alla mente l’idea di un confortevole cafè. A una decina di metri dai binari, vi era un bar inglobato nell’edificio della stazione, che faceva poprio al caso mio. Mentre mi accingevo ad entrarvi, non saprei come descriverlo, poiché mi venne in modo quasi istintivo, ma girandomi notai che il ragazzo dagli occhi malinconici, ora era a pochi passi dalle mie spalle. Colto in un pedinamento incerto, notai il suo abbigliamento, troppo leggero e logoro perché gli potesse garantire protezione da quel freddo invernale.

Mi venne quasi una risata ironica, per non aver colto quel particolare prima, distratto dal freddo e dall’attesa di qualcos’altro non mi ero accorto che una persona, seppur con lo sguardo, mi stava chiedendo aiuto. Allora io gli domandai:

- Mi conosci? Prima mi stavi guardando? A quella mia domanda esitò e in preda a un balbettio svelante un suo profondo disagio, riuscì comunque a rispondere.
- Tu sei marocchino?
- Si sono maghrebino. Gli risposi e da questo punto in poi la conversazione continuò in arabo.
- Da dove nel Maghreb? Io sono di Casablanca.
- Io invece sono di Ben Ahmed. Il sapere che la mia città di provenienza fosse vicina alla sua, gli fece rilassare tutti i musculi facciali, che fino a quel momento sembravano contorti da una smorfia di dolore.
- Puoi aiutarmi?
- Per cosa?
- Io sono “nuovo”, voglio andare da mio fratello a Rimini e mi servono i soldi per il treno. (La parola “nuovo” sta significare, arrivato da poco in Italia).
- Va bene, siediti a bere qualcosa e dimmi come sei venuto in Italia.
Aveva gli occhi lucidi, quando emise il sospiro che mi rivelò, l'ansia che lo stava divorando dall'interno.

Ho sempre cercato un modo per riuscire a entrare in Europa, perché tutti i miei amici sono andati lì. La fortuna non mi ha aiutato all’inizio e sono andato da una persona che si chiamava Radwane perché è da lui che sono andati i miei amici. Ci sono andato con mio mio padre, mia madre e mio cognato. E ci accordammo per la cifra di tremila euro.

Saddhec partì dall’aeroporto di Mohammad V e dopo tre ore si ritrovò nell’aeroporto di Tarabulus nella capitale della Libia. Prese un taxi alla ricerca di un hotel a basso costo e quando arrivò in hotel il taxi gli prese più del dovuto. L’hotel gli costava sei euro a notte e la mattina chiamò Radwene al telefono che gli diede un numero di telefono di un certo elhadj Fawzi. Quando lo chiamò al telefono, gli mandò niente meno che una macchina a prendere, che lo portò in un piccolo villaggio di nome Zwara, dove ad aspettarlo c’era un’altra macchina, che lo porto in una villa, in cui vi erano venti persone fra cui due donne e volevano tutti andare in Italia. Quando calarono le tenebre, vennero prelevati con due furgoni che li portarono al lungo mare, dove aspettavano altri quindici persone fra egiziani, tunisini ed algerini. Dopo poco tempo arrivò una barca di nome Zodyak, guidata da due neri, che li portò in mare aperto. Dopo duecento chilometri il motore cominciò a dare i primi segni di cedimento. A quel punto non restava che tornare indietro, vennero dunque portati in una casa diroccata dove passarono la notte al freddo. La notte seguente erano di nuovo in mare aperto, con una tempesta ad aspettarli, però questa volta al timone di Zodyak c’era un esperto pescato maghrebino. Il giorno dopo, si imbatterono in uno spettacolo raccapricciante, decine di cadaveri che galleggiavano in mezzo al mare, uomini e donne nordafricani, che probabilmente tentando di fare il viaggio per la grande fortuna, lo stesso che in quel momento stava intraprendendo lui, erano finiti per battezzare quel mare, come loro ultima dimora. Dopo poco su Zodyak si aprì una falla, l’acqua cominciò ad entrare, il panico iniziò a fermentarsi e la gente iniziò a buttare l’acqua fuori bordo, chi con le mani, chi con le valigie svuotate, cercando disperatamente di opporsi ad un naufragio. Continuarono in questo stato finché non avvistarono il terreno italiano. Ancor prima che potessero iniziare a gioire del loro agoniato arrivo, furono intercettati da una nave militare, un elicottero iniziò a fare fotografie e dopo poco erano nel cpt di Lampedusa. Per il cibo e l’acqua dovettero aspettare l’arrivo della croce rossa, che gli fece anche una sbrigativa visita medica. Dopo una settimana furono trasferiti in aereo, fino ad un'altro cpt vicino ad un aeroporto di Leggio Calabria. Nel cpt gli diedero il vestiti per cambiarsi e una coperta. Poi arrivarono i poliziotti che gli presero le impronte. Trascorsi due giorni,
Saddhec con due amici riuscì a fuggire con l’aiuto di un senegalese, impiegato come guardia nel cpt, corrotto con cinquanta euro. Restarono nascosti fra le montagne per due giorni, finché non incontrarono un pastore con il suo gregge di pecore, che gli diede indicazioni per raggiungere la stazione della città più vicina. Nella stazione si divisero e Saddhec prese una coincidenza dopo l’altra arrivando fino a Falconara, dove finì i soldi. Costretto dalla ristrettezza prese un treno per Rimini senza pagare il biglietto, dove viva il fratello. Ma fu scoperto da un controllore, che lo fece scendere a Senigallia.

Abdellah Manyani,
traduzione a cura di: Karim Franceschi.

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